Al farmacista di prima linea, a quello che non arretra da un secolo dalla propria postazione concessoria, oggi viene indirizzato l’assist per mandare in gol il diritto della salute del territorio. Un presidio stabile in mezzo alla gente e per la gente, cui viene consentita l’erogazione delle prestazioni primarie di diagnostica di base strumentale
È di moda nella sanità lanciare la palla in avanti a prescindere (anche sugli spalti), piuttosto che affrontare i tackles e vincerli contro le inefficienze sistemiche. Troppo impari le potenzialità, l’organizzazione e le volontà, sintomi dell’incapacità dalla mancata voglia di affrontare la competizione, ma soprattutto di vincerla. E dire che la posta in gioco è il diritto costituzionale fondamentale della tutela della salute da assicurare a tutti, gratuitamente agli indigenti.
E così si butta la palla avanti per passare ai posteri la sfida, esercitando un cinismo che non ha eguali, quello di regalare ai contemporanei bisognosi il miraggio, di illuderli su qualcosa che non esiste.
È successo con l’aziendalismo nel 1992, che doveva mangiarsi il mondo mettendo da parte la gestione e la responsabilità della salute alla Politica, quella con la “P” maiuscola per riconsegnarla a quella con la “p” minuscola, abilitata così a farne preda. A riuscirci: in via indiretta, attraverso le nomine fiduciarie di chi designa, cui va restituito il prezzo della riconoscenza, con a seguito uno stuolo di “primariati” vasto quanto i bisogni di nomina della propria famiglia, parentato, corrente e così via; in via diretta, a distribuire accreditamenti ai privati tradotti poi in contratti plurimilionari attraverso i beneficiari delle prime, oggi votati anche a regalare le ricchezze dell’assistenza domiciliare.
Ha continuato con il non accorgersi del sistema che andava in crisi esistenziale, finanziaria e organizzativa. In quattordici anni dieci Regioni in piano di rientro, di cui cinque commissariate, che sono rimaste peggio. Basti pensare al Lazio, premiato da un inaudito de-commissariamento nel 2020, che oggi registra la catastrofe con circa trenta miliardi di debito pregresso, contro gli 11,8 miliardi della gestione Marrazzo commissariato.
Evitando qui di fare l’elenco delle altre Regioni, allo solo scopo di non incrementare lo stato depressivo delle rispettive comunità governate, si sottolinea il lanciare la palla in avanti, con: le aziende ospedaliere universitarie autonominatesi a sfregio del D.lgs. 517/1999; il DM70, che lascia ancora una sanità ospedaliera pubblica prevalentemente priva dei requisiti obbligatori per l’accreditamento; il DM 77 che fa sognare un territorio che piange da decenni perché abbandonato, nonostante nessuna neo-struttura messa a terra e senza previsione di economie per il personale, ritenendo i (pare) 250 milioni di euro previsti nel previsionale per il 2024 sono buoni solo per “fare un baffo” all’assistenza che occorrerebbe.
Oggi si lancia, a proposito della sanità di prossimità, la palla avanti anche sulle farmacie. Da postazione assistenziale - incomprensibilmente aggredita da Pierluigi Bersani fautore delle liberazioni di poco conto e distratto da quelle a tantissimi zeri, che ebbe a non intendere allora il peso specifico di cosa significasse la concessione pubblica e la sua peculiarità – la si propone come presidio fisso e indispensabile di primo livello.
Ebbene, cosi facendo si genera gioco. Si costruisce arricchendo quanto previsto a suo tempo e decaduto per una assistenza primaria che di difficoltà ne ha generate tante durante il Covid. Quella pandemia che ha consacrato la farmacia, sia pubblica che privata, un esempio di assistenza full time di prima fila. Impavida e generosa nell’affrontare i rischi, garante dell’assistenza di vicinato e oltre, spesso “necessariamente trascurata” nell’obbligo di ricettazione – con ciò che comportava sul piano del rischio di illegalità – per i farmaci di consumo nella continuità dei propri assistiti, altrimenti impediti dalle difficoltà prescrittive dei loro medici di famiglia, spesso poco presenti nelle loro postazioni durante il galoppo dell’epidemia.
Insomma, al farmacista di prima linea, a quello che non arretra da un secolo dalla propria postazione concessoria, oggi viene indirizzato l’assist per mandare in gol il diritto della salute del territorio. Un presidio stabile in mezzo alla gente e per la gente, cui viene consentita l’erogazione delle prestazioni primarie di diagnostica di base strumentale. Non solo. Viene a rendersi destinataria di quanto sino ad ora impedito, per la “grave preoccupazione” di impedire quel comparaggio di stampo antiquariale. Potranno di qui a poco ospitare l’offerta medica ed infermieristica, rispettivamente, in quei segmenti della diagnosi e prescrizione sulle specialistiche di maggiore istanza e sulla assistenza terapeutica anche di modalità iniettiva.
Guai tuttavia a supporre, così come sottolineato impropriamente, che tutto questo possa costituire “una valida alternativa al medico di base, spesso non raggiungibile o comunque intercettabile solo dopo lunghe attese”. Tutt’altro. Una siffatta nuova tipologia assistenziale è incrementativa di quella esistente ma principalmente è stimolativa per generare una assistenza di prossimità che faccia gruppo efficiente nell’assoluto interesse della parte di popolazione soprattutto residente nelle aree periferiche. Ma non solo.
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